Corsi d’acqua di Costabissara: roggia Contarina

Ho scelto il primo giorno di primavera per scrivere questo mio tributo ad uno dei corsi d’acqua di Costabissara: la roggia Contarina

Perché parlo di tributo?

Perché sono particolarmente legato a questa piccola roggia bissarese dalle nobili origini chiamata Contarina.

Sin da bambino sono sempre stato “vicino” a questo corso d’acqua.

Lungo le sue sponde costruivo, insieme ai miei compagni di gioco, i “forti”. Questi erano dei ripari realizzati utilizzando e intrecciando fra loro i rami degli alberi… per dare un’idea… alla fine il “forte” che si erigeva era qualcosa di simile ad un capanno per cacciatori.

Le “albere” oltre a fornire il materiale per le nostre fortezze, davano sostegno alle rive,  ricovero agli uccelli e sulla loro corona potevano essere raccolti i funghi “d’albera”.

E poi sulle acque di roggia Contarina una volta in alcuni punti si navigava.

Si navigava? E come?

Semplice…si prendeva un bancale in legno, sotto si infilavano alcune taniche in plastica ed ecco…  la zattera era fatta, ci si saliva sopra e via… su e giù… lungo il suo corso. Ogni tanto ci si ritrovava a bordo anche in due, tre marinai… ma a questo punto l’equilibrio si faceva così precario che qualche volta si cadeva in acqua…un problema se succedeva nei mesi più freddi!… non tanto per la temperatura rigida… ma per le sgridate che rischiavamo di prendere quando poi si tornava  a casa bagnati.

La pesca.. altro aspetto interessante di questo corso d’acqua. Roggia Contarina è una roggia dalle acque limpide e pulite.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       Questo particolare è dovuto al fondo ghiaioso, costituito da piccoli sassi, poi alla presenza di piante acquatiche che ossigenano e depurano l’acqua ma soprattutto ritengo dipenda dal fatto che lungo il suo itinerario ci sono numerose canne che alimentano il flusso facendo risalire  l’acqua sorgiva dal sottosuolo fino al suo alveo.

Anguille, lucci, cavedani, lamprede, spinarelli, sanguinelle… erano e sono presenti nelle sue acque ma questo però deve rimanere un segreto… altrimenti i pescatori arrivano.

Come quell’estate del 1948. A pescare nelle sue acque c’erano allora due giovani ragazzi bissaresi…un certo Versara dalla Filanda e un suo amico….. Mio nonno Costante si avvicina loro e dice: “Tusi, xe meio che tornè verso casa… a xe drio rivare el bruto tempo”. I giovani pescatori non prestano però  attenzione al consiglio di chi li invitava a rientrare velocemente alle loro abitazioni prima dell’arrivo del temporale.

Da lì a poco… mio nonno se li ritrova impauriti dentro casa… i ragazzi si erano rifugiati a casa sua  per salvarsi da quello che era diventato nel frattempo un uragano… dal cielo mista alla grandine scendevano ora… anche i pezzi di copertura del tetto della Chiesa parrocchiale di Costabissara.

In passato, negli anni ’50,  aveva scelto di trovar casa  a Costabissara,  lungo le rive di roggia Contarina nei pressi della zona Fornaci, pure un fagiano. Con il trascorrere del tempo era diventato quasi una leggenda locale… lo si poteva notare e sentire ma mai nessun cacciatore riusciva a prenderlo. Questa situazione si è protratta per molte stagioni fino a che, per lui, un brutto giorno… un cacciatore, cercando un uccello “impallinato” fra le sterpaglie… lo vede… due scoppiettate… e il fagiano dalla coda lunga… termina la sua storia lungo le sponde di roggia Contarina.

Se la fauna aveva perduto i caldi e vivaci colori del fagiano nel corso degli anni in questo luogo, in prossimità del ponte “dal tubo de fero”, la flora ha conservato il colore giallo delle Primule, l’ azzurro dei Crocus, il bianco e il viola  delle Margherite e delle Violette,  il celeste dei Nontiscordardimé.       

Ai giorni nostri lungo il suo scorrere si può scorgere la Gallinella d’acqua, qualche Airone intento a pescare e se siamo fortunati possiamo ammirare il Martin Pescatore che con il suo volo radente dona al colore verde dell’ambiente circostante il contrasto del suo blu quasi fosforescente.

Ma proviamo ora con l’immaginazione a fare un salto nel passato…remoto…proviamo a ritornare nella Costafabbrica del 1500, così si chiamava Costabissara a quel tempo, quando la roggia non esisteva. Proviamo ad immaginare le persone che alla fine del XVI secolo iniziano a scavare nella campagna bissarese questo canale… su iniziativa della nobile Signora Cecilia Contarini,  in un ambiente a tratti paludoso… mentre in altri punti distese di campi si aprono quasi a perdita d’occhio… qualche fattoria isolata qua e là… contadini intenti  al lavoro nei campi… bambini che giocano e che guardano pieni di curiosità  il nascere di questa roggia…

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               A distanza di 400 anni, poco più di 10 nonni… dopo, ci siamo noi ora che passeggiamo lungo le sue sponde… c’è mio figlio che gioca e pesca lungo le sue rive.. c’è chi fa jogging, chi porta a passeggio i nipoti, chi il proprio cane… tra 400 anni…. proviamo ad immaginare di navigare nel 2411 sulle acque di roggia Contarina…  riusciamo ad immaginare qualcosa di così lontano?

Un saluto.

Maurizio Romio

La boschetta di zona Fornaci a Costabissara

La boschetta di zona Fornaci a Costabissara.

Quand’ero ragazzino, negli anni sessanta,  andavo spesso a pescare in una zona che presentava alcune risorgive in località Fornaci a Costabissara denominata La Boschetta e situata ai confini del borgo di Maddalene vecchie  in provincia di Vicenza.

Recentemente in occasione di una passeggiata lungo via Fornace ho desiderato rivedere a distanza di anni quest’area acquitrinosa. Lasciata la strada principale in prossimità del piccolo ponte che passa sopra roggia Contarina, percorse poche decine di metri lungo la “caresà delle Sette Canne” così denominata per la presenza lungo il suo percorso di sette canne d’acqua,  mi addentro in questa  “boschetta”.

Dei piccoli laghetti di un tempo, ce n’erano tre, ne è rimasto ora solamente uno, ridotto di  dimensioni  e profondità.

Un tempo in questo specchio d’acqua si pescava.

Ricordo quella volta che mi è scappata una tinca. Posizionato con la mia canna da pesca sulla riva dello stagno intento a  prendere qualche “scardola”,  all’improvviso vedo il galleggiante scomparire sott’acqua. Tiro… sento che il pesce oppone resistenza. Sono sorpreso… questa volta, penso,  ha abboccato qualcosa di grosso. Vedo che si tratta di una tinca di grosse dimensioni. Riuscire a prenderla sarebbe stata una grande soddisfazione. Cerco di issarla a riva ma essendo l’amo sottodimensionato rispetto alla preda ecco che al momento di tirarla fuori dall’acqua… la tinca si svincola dalla presa… e ritorna libera nel suo ambiente. Meglio così.

L’ area palustre della Boschetta è oggi più limitata rispetto ad un tempo mentre si è conservata  parte della vegetazione  tipica delle zone umide e costituita da canne palustri e alberi a crescita spontanea.

In passato i “carègheta”  scendevano dalle località di  Torreselle e Ignago del Comune di Isola Vicentina  fino alla “boschetta di Costabissara” per raccogliere la  “caressa” (carice  – carex pendula), un’erba dalle foglie particolarmente taglienti ma anche molto resistenti, da utilizzare nel  loro lavoro di  impagliatori di sedie.

Intorno agli anni 1940 1945 nell’area della Boschetta veniva effettuata l’estrazione della torba.   

Nel concludere questa breve storia aggiungo che nel periodo di chiusura per manutenzione straordinaria della Chiesa Parrocchiale di Costabissara avvenuta nel 1935,   molti residenti di via Fornace usufruirono della “caresà delle sette canne” per raggiungere in alternativa la piccola Chiesa di Maddalene vecchie.

Ai  miei figli,  impegnati in questo momento nell’apprendimento della lingua Inglese,   ricordo che i termini  dialettali veneti  “caresà”, “caredà” o “cavedagna”  indicano  una carreggiata di campagna adibita al passaggio di attrezzature agricole, animali o persone avente spesso l’ulteriore funzione di delimitare i confini delle  proprietà agricole.  

Un ringraziamento particolare va a mia mamma Oliva per il contributo reso nella ricostruzione dei ricordi  legati a questa zona umida localizzata nei pressi di Costabissara.

Pastori a Costabissara

I pastori a Costabissara

Come in primavera c’è chi aspetta l’arrivo delle rondini così io da bambino a Costabissara aspettavo l’arrivo dei… pastori.

Si,  proprio i pastori…

Pastori a Costabissara di Maurizio Romio

Il proprietario del gregge si chiamava Albino ed era coadiuvato nel lavoro da alcuni suoi famigliari.

Residenti a Gallio,  i pastori con il loro gregge giungevano puntualmente ogni inverno a Costabissara provenienti dall’ Altopiano di Asiago.

Sostavano qualche giorno nelle nostre campagne bissaresi e riprendevano poi la transumanza verso altre località.

L’ arrivo dei pastori era per me motivo di gioia. Durante il giorno li seguivo nei loro spostamenti riuscendo a cogliere vari aspetti della loro attività.

Ho avuto modo di apprendere per esempio l’importante ruolo dei cani da pastore.

Ai cani era affidato il compito di raggruppare il gregge.

Al semplice fischio del pastore i cani si mettevano in azione, il gregge in breve tempo era ricompattato e pronto per trasferirsi al successivo pascolo.

Il contributo dei cani era importante anche per la salvaguardia dei singoli animali.

Ricordo ad esempio quando una pecora, caduta in una roggia, fu salvata grazie al fatto che Mori,  uno dei cani che seguiva il gregge,  accortosi di quanto accaduto, abbaiando,  aveva attirato l’attenzione sul povero animale in procinto di annegare permettendo così il suo salvataggio.

Alla sera i pastori preparavano il loro ricovero per la notte sul campo del nonno. I miei occhi di bambino guardavano con stupore questo strano letto, fatto di un sottofondo di fieno e di paglia.  Avranno freddo?   Come faranno a dormire all’aperto?  Queste le domande che mi ponevo.

La giornata si concludeva con la cena dei pastori a casa dei nonni.  Abitualmente portavano con sè tutto il necessario, bastava solamente che mia nonna Cesira scaldasse loro il cibo.  Questa era anche l’occasione per fare un po’ di filò.

Il giorno dopo, al rientro a casa terminata la scuola, scrutavo dalla finestra l’orizzonte per vedere se in lontananza riuscivo a scorgere il gregge… inutilmente… Albino e suo fratello con il loro gregge erano partiti.

Provavo tristezza…  ma di una cosa ero certo… il prossimo inverno sarebbero tornati.

In queste grigie giornate invernali provate ad affacciarvi alla finestra… non si sa mai… magari si può ancora scorgere a Costabissara qualche pastore di passaggio con il suo gregge…

(Post scritto da Romio Maurizio per il blog Romio at Costabissara)

Quando a Costabissara si usava la monega e la fogàra

Le tradizioni di una volta.

Quando a Costabissara si usava la “monega” e la “fogàra”.

In un passato non molto lontano a Costabissara c’era chi durante l’inverno per scaldare le lenzuola del letto usava due oggetti: la “fogàra” e la “monega”.

I più giovani potranno chiedersi che cosa sono questi strumenti.

Vediamoli allora assieme.

La fogara è un contenitore in terracotta o in metallo per le braci ardenti.

In cucina una volta era di uso comune la stufa a legna. Come prodotto della combustione della legna si ottenevano le braci. Le braci, distese sul piano del camino,  potevano essere usate per cucinare qualche salsiccia o fetta di  salame ai ferri oppure potevano essere utilizzate per riempire appunto la “fogara”.

Sul fondo della “fogara” si metteva un po’ di cenere, poi le braci ardenti che a loro volta venivano coperte da altra cenere.

 

(nella foto la fogara con le braci)

Cosa serviva la fogara?

La fogara abbinata alla monega serviva per riscaldare le coperte del letto.

La monega era una struttura in legno, dotata di due ampi archi e con una base di metallo.

(Foto della monega)

 

Gli archi della “monega” servivano per mantenere le coperte del letto leggermente rialzate mentre sulla base di metallo della “monega” si appoggiava la fogara.

La monega e la fogara venivano così poste sotto le coperte.

 

Durante le fredde notti invernali nelle camere da letto di un tempo, dotate allora di serramenti tutt’altro che ermetici, si riusciva in questo modo ad ottenere un calore particolare ed inimitabile.

Quando a Costabissara si andava a spinaroli

Ho chiesto a mio figlio  se sa cosa sono i “spinaroli”. 

Mi ha risposto di no.

Probabilmente a Costabissara sono pochi i ragazzi che lo sanno.

I “spinaroi” o “spinaroli” sono i rovi,  arbusti  tutti pieni di spine, come il rovo di macchia,  con fiori color bianco-rosa e frutti neri chiamati  more,  che crescono nel sottobosco e che a volte  formano delle vere e proprie siepi.

Durante l’inverno non più di 80  anni fa  per molti ragazzi e ragazze  di Costabissara i spinaroli costituivano una fonte di guadagno, misera ma pur sempre meglio di quel  niente con il quale molti dovevano convivere.  Con il permesso del proprietario  si andava  a tagliarli nel sottobosco. Gli spinaroli, raccolti  in fascine, venivano  poi  venduti al fornaio che li usava come combustibile per il forno.

Bisognava fare attenzione che in queste fascine di  spinaroli non finisse  qualche, seppur piccolo,   ramo d’albero…   se il proprietario del bosco se ne accorgeva…  potevano essere guai.

Su quest’epoca tra la fine del 1800 e i primi del 1900  il regista  Ermanno Olmi nel suo film “L’Albero degli zoccoli”, ambientato nella campagna bergamasca del 1898 , quando  per esempio a questa data  mio nonno Costante Zaupa  aveva 1 anno e mio nonno Ermenegildo Romio  ne aveva 10,  ha ben sottolineato quali erano le condizioni di vita di una famiglia contadina.

Dedicato ad Ermanno Olmi e al  suo film   c’è anche un sito web amatoriale (www).alberodeglizoccoli.net al quale rinvio per quanti volessero cogliere qualche ulteriore spunto storico e umano  di quest’epoca vissuta  in prima persona da molti nostri famigliari, nonni o bisnonni.

Maurizio Romio

La vigilia di Natale

Vigilia di Natale in famiglia a Costabissara.

Si, lo posso dire. Ho passato una bella vigilia.

Ho preparato delle lumache alla Borgogna. Le ho mangiate solamente io… la tradizione è confermata.

Mio padre Tarcisio  mi raccontava che alla vigilia di Natale,  quasi 70 anni fa, per mio nonno Ermenegildo era tradizione preparare alla vigilia di Natale … le lumache.

Ho voluto riproporre in famiglia  questa tradizione… le tradizioni sono importanti..
Mio padre mi diceva che non a tutti in famiglia le lumache piacevano…. Infatti a distanza di 80 anni.. mia moglie e i miei figli hanno preferito mangiare altre cose… come da tradizione.

Maurizio Romio

Le origini delle Famiglie dei Romio a Costabissara

Le origini delle famiglie dei Romio a Costabissara

Quali sono le origini dei Romio a Costabissara?

Prima di approfondire questo argomento proviamo a rispondere alla seguente domanda:

Qual’è l’origine del cognome Romio?

Si può presumere che originariamente il nome Romio fosse legato alla città di Roma con il significato “io provengo da Roma,  io sono cittadino di Roma”.

Nell’antica Grecia il nome Rhomaios (Rhom-ios) si usava per indicare una persona che abitava o che proveniva da Roma.

Romioi, cioè romani, o Romios,  se ci si riferiva al singolo individuo, venivano chiamati gli  abitanti di Costantinopoli, città  che per un periodo storico fu capitale dell’ Impero Romano.

Si può quindi ipotizzare che il nome Romio trovi la sua origine nell’antica città di Roma.

Lasciamo ora il passato.

Ritorniamo ai giorni nostri e alla nostra realtà locale… lasciamo la Roma di un tempo e torniamo al  bel paese della provincia di Vicenza chiamato Costabissara.

Come sono arrivati i Romio a Costabissara?

La cosiddetta “soca” dei Romio a Costabissara, termine dialettale con il quale si indica la base dell’albero formata da una parte del tronco e dalle radici,  è costituita da Ermenegildo Romio (nato nel 1888)  e sua moglie Ermelinda Minati (nata nel 1889)  giunti a Costabissara nel 1932 provenienti dalla vicina località  di Montemezzo di Sovizzo.

Ermenegildo e Ermelinda  hanno  dato alla luce dieci figli….

Emilia Romio (1913), Giuseppe Romio, Maria Romio, Elvira Romio, Bruno Romio, Maria Romio, le gemelle Ottavia e Margherita Romio, Annunziata Romio e Tarcisio Romio.

Tarcisio Romio,  tempo fa ha ripercorso l’itinerario fatto dai suoi famigliari.

I genitori Ermenegildo Romio e Ermelinda Minati hanno abitato inizialmente  a  Sovizzo,  in località  Montemezzo.  L’abitazione è oggi (2010)  trasformata in agriturismo. Situata in via Valdiezza, in prossimità dell’incrocio tra Montemezzo e Monteviale, provenendo da Sovizzo questa fattoria la si nota sulla destra.

Da lì  i genitori si sono trasferiti per un breve periodo più a monte sempre in località Montemezzo.

Da Montemezzo  la famiglia, si  trasferisce nel novembre del 1932 definitivamente a Costabissara in località Le Scure, in via San Valentino. (Il nome di questa località, le Scure,  diriva dal fatto che al tramonto  è una zona in ombra in quanto a ridosso di una collina)

In questa casa la famiglia di Ermenegildo Romio ha vissuto fino al 1961.

Casa dei Romio in località le Scure a Costabissara (1942)

Un particolare: a quel tempo era tradizione per molte famiglie traslocare in prossimità dell’ 11 novembre, nel giorno di  San Martino.

Ancora oggi è in uso nelle nostre zone il detto “hai fatto San Martino” con il significato di  “hai traslocato”.

Maurizio Romio

The blog and the journalism

I’m  a new-blogger and  I desire to make some considerations about the blog as a sort of  on-line diary.

I start speaking about  the job of the journalist.

I think that the activity of the journalist  substantially is  to offer news.

I think not being away from the truth when I affirm that in the substance of the things to make journalism is to speak about others people, about facts and events that can be interest to the others.

Journalism is something that is reported to the others.

We are six billion people, events every second happens, you  can report about the past, the present and the future. I believe that material to make journalism exists in abundance.

Perhaps for this reason the Citizen Journalism will be more and more successful.

Reporting me to the blog, for his nature a sort on-line diary, I make this question: to speak of ourselves, to speak of the things that happen but reporting these to ourselves,

to be “Home Journalist” and not “Citizen journalist”  is it simple or difficult?

Now I am not able to give an answer. Of course I will find it in the progress time.

Maurizio Romio

To play truant and to be in the troubles

When it is said a off day.

In  my time, in the seventies, the worry for the one that  “plays hookey”  was to run into some  teacher on the road.

We see now what can happen to a fifteen year-old boy that plays truant at  Vicenza in the morning of November 29th  2010.

This boy gets up from the bed, he does breakfast and he thinks: “this morning I don’t feel like going to school, I will go to make a round trip  in down town.”

He takes the bus but he doesn’t pay the ticket (the cost of the ticket  for the urban net is Euro 1.20).  The inspectors climb. They ask him the ticket, he doesn’t have it, they ask him the documents, it doesn’t have them. So the inspectors  called the agents of the local police.  He tries to escape but  he is taken back and brought  to the Command. The boy furnishes in a first moment false generalities.  The end of this story?

His  parents are tracked down and the little boy reenters to house, he have to  pay a sanction for  having  climbed in bus without ticket,  he  will be report to the Tribunal of the Minor for having furnished false generalities.

I’m thinking about the fable of Pinocchio, about the fairy and the speaking cricket. I’m  thinking  about the happy ending of this fable. I hope that in the same way this boy concludes his experience.

Maurizio Romio

Marinare la scuola e trovarsi nei guai.

Quando si dice una giornata no.

Ai miei tempi, negli anni 70,  la preoccupazione per chi “bruciava” scuola era quella di poter incontrare per strada qualche professore.

Vediamo invece ora a distanza di anni cosa può succedere ad un ragazzo di quindici anni  che marina la scuola a Vicenza la mattina del 29 novembre 2010.

Questo ragazzo si alza dal letto, fa colazione e pensa: ”questa mattina non ho voglia di andare a scuola, andrò a farmi un giro in centro città.”.

Prende l’autobus, non paga il biglietto dal costo per la rete urbana di euro 1.20 (validità oraria 90 minuti). Salgono i controllori. Gli chiedono il biglietto, lui il biglietto non c’è l’ha. Gli chiedono i documenti, non li ha. Vengono chiamati gli agenti della polizia locale. Tenta di scappare ma è  ripreso e condotto al Comando. Il ragazzo fornisce in un primo momento false generalità.

Come si conclude la storia?

I suoi genitori sono rintracciati e il ragazzino rientra a casa, dovrà pagare una sanzione per essere salito in autobus senza biglietto e  sarà segnalato al tribunale dei minorenni per aver fornito false generalità.

Penso alla favola di Pinocchio, alla fatina, al grillo parlante. Penso al lieto fine di questa favola nella speranza che allo stesso modo si concludi l’esperienza di questo ragazzo.

Maurizio Romio